Epoca Romana
Iscrizioni
Da un’iscrizione trovata a Castellavazzo si apprende dell’esistenza del pagus (distretto territoriale)
dei Laebactes (tribù di probabile origine venetica o celtica). Il toponimo attuale “Castellavazzo”
deriva da Castellum Laebactium, ossia il Castello dei Laebactes.
L’iscrizione onoraria, usata nel secolo XVI come altare nella chiesa di Sant’Elena di Castellavazzo, è nota come “Stele neroniana” che verosimilmente doveva svolgere la funzione di orologio solare, come era in uso nell’antica
Roma, e riporta il seguente testo:
“In honorem […] Claudi Caesaris Augusti Germanici Sex. Paeticus Q.F. Tertius et C. Paeticus Sex. Firmus horilogium cum sedibus paganis Laebactibus dederunt”
“In onore di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, Sesto Petico Terzo, figlio di Quinto, e Gaio Petico Firmo, figlio di Sesto (probabilmente i due magistri che reggevano il pagus) donarono ai pagani Laebactes un orologio solare (meridiana) con sedili (o sede per riunioni)”.

Il nome dell’imperatore Nerone (54-68 d.C.) è stato scalpellato per la damnatio memoriae, ordinata dal Senato dopo la sua morte.
Tale iscrizione venne realizzata su pietra di Castellavazzo, ciò a testimonianza che l’estrazione della pietra dalle cave cominciò già in epoca romana.

Un altro importante reperto, ben documentato, è una lastra in pietra rossa di Castellavazzo con una dedica votiva ad Asclepio, anche conosciuto come Esculapio (divinità romana della salute).
La lapide subì numerosi spostamenti e venne travolta dall’acqua nel disastro del 9 ottobre 1963; grazie al bellunese Francesco Monaco, incisore, ne rimane oggi una riproduzione grafica.

Fortezze
Grazie a fonti indirette, è possibile conoscere l’esistenza di un castello presso il distretto di Lavazzo, già in epoca romana. Lo storico Giorgio Piloni (1539-1611) riferisce che il vescovo di Belluno Ottone, nel 1227, fece restaurare dei castelli rovinati e tra essi nomina “il Castello di Castellione […] e quello di Lavazzo” e, a sostegno di ciò, vi è anche la testimonianza di Pierio Valeriano nella sua opera Antiquitatum Bellunensium Sermones quattuor del XVI secolo.
Inoltre, nel I secolo d.C. è accertata la presenza di un vicus a Castellavazzo (aggregato di case e terreni), la quale fa supporre che vi fosse affiancato un Castellum.
Tombe e corredi funerari
Un ritrovamento di grande rilevanza storica fu lo scavo del “Fondo dei fratelli Facca”, avvenuto negli anni 1995-1996 presso Crosta, a ovest di Castellavazzo, durante il quale vennero scoperte due tombe a incinerazione.
Furono portate alla luce due anfore prive di collo, ma contenenti due corredi:
– uno era formato da un anello d’oro, uno stilo in ferro verosimilmente utilizzato per scrivere sulle tavolette cerate, una bottiglietta per profumi, molti chiodi e una moneta dell’imperatore Nerva (96-98 d.C.);
– il secondo comprendeva un anello d’argento, frammenti di braccialetti d’argento, ganci bronzei per secchielli in legno e monete dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.).
Probabilmente, si tratta dei resti di sepoltura di due sorelle morte giovani.
Altri gentilizi romani, presenti nel territorio longaronese, sono documentati dalla toponomastica: Cotisius (Codissago), Pudentius (Podenzoi), Pirrius (Pirago), Fortunius (Fortogna) e Ignius (Igne).
La zona era popolata con dei piccoli insediamenti, come confermato dalle necropoli rinvenute nelle suddette località.
Nel 1966 fu messa in luce una tomba a cremazione con elementi lapidei: una grande lastra in pietra di Castellavazzo rossa e due coperchi d’urna in pietra di Castellavazzo grigia.
Per coloro che volessero approfondire l’argomento, è possibile visitare presso la frazione di Castellavazzo il “Museo della Pietra e degli Scalpellini di Castellavazzo” gestito dall’Associazione Pietra e Scalpellini di Castellavazzo in convenzione con il Comune di Longarone.
Le vie romane
È piuttosto verosimile che i Romani realizzassero due “vie del ferro”, che dalle miniere di Arsiera di Zoldo e quelle di Cibiana, si congiungevano con la via militare principale, collegandosi con la frazione di Pirago e con Ospitale di Cadore.
I minerali di ferro venivano fusi in lingotti sul posto e portati a fondo valle verso la frazione di Igne, che per quanto concerne l’origine del suo nome è stata a lungo “pomo della discordia” tra autorevoli storici.
C’è chi vuole che Igne derivi da “ignis”, cioè dal tipo di roccia che si trova in loco, mentre altri rimandano al termine latino “ignis”, fuoco, per i segnali di fuoco effettuati dai Romani in direzione dei paesi di Dogna e Provagna che, trovandosi in linea retta dallo sperone roccioso di Igne, permettevano di scorgere con facilità i segnali luminosi e quelli fumogeni.
La posizione di Castellavazzo era strategica per il commercio e per la difesa, con due importanti strade che risalivano il Piave, lungo la riva destra e quella sinistra.
Quest’ultima strada, che proveniva dal Cansiglio, toccava l’attuale Comune di Soverzene e le attuali frazioni di Provagna, Dogna e Codissago, lungo il cui percorso vennero rinvenute delle tombe romane.
Le vie fluviali
L’uomo sapeva sfruttare la corsa dell’acqua per trasportare persone, materiali e merci fin dai tempi antichi e la via fluviale del Piave veniva utilizzata già in epoca romana, verosimilmente come descritto dall’umanista Pierio Valeriano nella sua Antiquitatum.
Nella storia della navigazione sul Piave, gli zattieri o “ligadori” di Codissago hanno sempre avuto un ruolo primario: partivano nelle prime ore del mattino per giungere al cidolo di Perarolo e lì, con le taglie fluitate dai menadàs cadorini, costruivano le zattere.
Il primo tratto, da Perarolo al porto di Codissago, era il più pericoloso e le zattere erano condotte proprio dagli zattieri di Codissago; essi proseguivano poi fino a Borgo Piave (Belluno), lasciando guidare poi le zattere da altri zattieri, in una sorta di staffetta.
Per coloro che volessero approfondire l’argomento è possibile visitare, presso la frazione di Codissago, il “Museo etnografico degli Zattieri del Piave” gestito dall’Associazione Fameja dei Zatèr e Menedàs de la Piave di Codissago.