DOPO IL VAJONT

Dramma il giorno dopo (olio su tela)
Paolo D’Incà

LA RICOSTRUZIONE

Grande ed immediata fu l’azione di solidarietà che si manifestò in tutto il mondo: grazie ad essa, all’intervento delle autorità, dei vari Enti ed Associazioni e alla tenace volontà della popolazione locale, il paese fu ricostruito. Le case prefabbricate che servirono in un primo momento per i superstiti lasciarono il posto ai nuovi edifici, mentre in un paio d’anni le infrastrutture stradali, ferroviarie ed idrauliche furono realizzate in tempo record. Il sito, dopo una proposta iniziale che lo voleva spostato nelle vicinanze di Belluno, dopo le vigorose proteste dei superstiti, fu lasciato a Longarone.
Per queste necessità lo Stato ha stanziato complessivamente, attraverso provvedimenti successivi, circa 1.800 miliardi (in valori attuali). Si tenga però presente che buona parte è stata impegnata anche al di fuori delle aree colpite, consentendo la legge il trasferimento delle attività altrove. Il grosso (61%) è stato impiegato nella ricostruzione e nel successivo sviluppo industriale (aree industriali attrezzate e contributi alle aziende); il residuo per le opere pubbliche (24%), per la gestione dell’emergenza (6%), la ricostruzione delle abitazioni (5%), l’integrazione ai bilanci comunali (4%).
La riedificazione avvenne non solo sotto il profilo urbanistico ma anche sotto il punto di vista sociale ed economico.
L’economia di Longarone è vivace ed attiva, fondata sull’occhialeria, l’elettronica, il tessile, la lavorazione del legno, ed ospita, nei padiglioni del Palazzo delle Fiere, alcune mostre legate alle attività locali (Opto – Agrimont – Expomont – Expovino – Optimac – Expodolomiti – Arte in Fiera – Arredamont – Promotor) tra cui primeggia la Mostra Internazionale del Gelato, rassegna di attrezzature e di prodotti per la gelateria artigianale. La cittadina infatti è allo sbocco dello Zoldano e del Cadore, da alcuni decenni terre di bravi e rinomati gelatieri, le cui aziende hanno trovato collocazione soprattutto all’estero, specialmente in Germania.

Il primo matrimonio dopo il disastro
(30/06/1964- Foto Zanfron)

Nel campo delle istituzioni sociali e amministrative, ricordiamo a Longarone la presenza di numerose scuole, tra cui l’Istituto professionale statale alberghiero “Dolomieu”, ove si diplomano cuochi e camerieri d’albergo, un Istituto professionale per meccanici ed elettricisti: c’è la bella Casa di soggiorno per anziani, costruita con specifiche donazioni all’epoca del Vajont. Longarone è sede della Comunità Montana “Cadore – Longaronese – Zoldano”. Attivo e fecondo è l’associazionismo,
che fa capo all’Associazione Pro Loco di Longarone; numerose le associazioni giovanili, soprattutto nello sport, grazie ai moderni e funzionali impianti della zona sportiva.
Un’ampia varietà di manifestazioni, tra le quali possiamo inserire anche quelle collegate al 9 ottobre, anniversario della tragedia, contribuiscono a tener vive le tradizioni storiche di un territorio basato oggi su attività prevalentemente industriali.
Un cenno di particolare riguardo va dato al Centro di Protezione Civile; la sua istituzione dovrebbe contribuire alla formazione di una coscienza responsabile che sappia prevenire qualsiasi ordine di calamità. Sotto questo punto di vista essa rappresenta il modo migliore per rendere omaggio alle vittime del Vajont.

ASPETTI SOCIALI

Quando alla base di una catastrofe naturale v’è la responsabilità umana, come nel caso in questione, è indubbio che il danno sociale prodotto sia considerevolmente maggiore; un incidente di tipo tecnologico, e quindi gestito dall’uomo, comporta una chiara responsabilità umana rispetto ad un evento naturale. Conflitti sociali ed emotività hanno assunto, con l’accertamento dell’evitabilità della tragedia, aspetti gravi e drammatici, che si sono ulteriormente accentuati per via del lungo corso giudiziario.
Il fatto poi di aver perso quei riferimenti fisici e simbolici dell’ambiente di vita è una delle cause che ha comportato un maggior attaccamento alla comunità, soprattutto nei primi momenti di emergenza e di riabilitazione. La ricostruzione successiva, poi, diventa desiderio di riproporre come prima e nel luogo di prima quegli elementi fisici che diventano così simboli di storia e di vita del paese. Il senso di appartenenza territoriale, basato sulle esperienze di vita e quindi sui ricordi passati, è rimasto, per i primi tempi, l’unico collante vero dei sopravvissuti. Questi infatti, oltre a perdere familiari e parenti, case e terreni, hanno perso la maggior parte delle relazioni sociali, con la scomparsa degli amici, dei conoscenti, dei vicini, in una parola della “comunità”. La ricostruzione sociale dunque, certamente non meno importante di quella edilizia ed economica, è stata un processo che ha comportato tempi molto lunghi e la pianificazione di un nuovo paese, come in parte è stato per Longarone, senza prendere in considerazione la cultura ed il modo di vita degli abitanti locali, ha reso tutto più complicato. Il senso di appartenenza al luogo, dunque, si è rafforzato per coloro che vivevano in paese prima del 1963; per i cittadini nati successivamente e soprattutto per i nuovi immigrati l’attaccamento è minore sia per il fatto di non aver vissuto in prima persona la tragedia che per un generale disinteressamento all’identità locale che purtroppo, in questi anni, coinvolge le nuove generazioni.
Scriveva Giuseppe Capraro in un suo saggio Longarone 1963-1973 – Sociologia del disastro e della ricostruzione: “Non è facile ambientarsi a Longarone; dopo dieci anni dal Vajont non si ritrova più il clima dei primi tempi… Il centro è diventato terra di nessuno; gli incontri sono frettolosi; non ci si conosce più… ciascuno ha il suo programma e lo segue senza confrontarlo con gli altri… Quando ritornano a Longarone per due o tre giorni di ferie si sentono spaesati: l’hanno lasciata solo da qualche anno e a differenza di altri che l’hanno oramai dimenticata, essi provano per il paese ancora affetto ed interesse; vorrebbero comportarsi come prima; salutare quello, giocare a carte con l’altro, fermarsi a bere un bicchiere in compagnia, discutere dei problemi da risolvere… Essi però corrono il rischio di passare per gente che si interessa troppo degli affari altrui, oppure di essere sommersi da un mare di chiacchiere e di pettegolezzi sul tale o il talaltro, che puzzano di faziosità e di partigianeria… Ci si è forse tanto preoccupati tanto delle case, delle piazze, degli edifici pubblici, ed era giusto fare così, perché tutto era stato raso al suolo, ma non si è dato sufficiente peso alla ricomposizione delle relazioni sociali, a quell’intreccio di legami che si allacciano inevitabilmente tra persone e gruppi che abitano lo stesso luogo e lavorano negli stessi ambienti”.

LA POPOLAZIONE

Lo spopolamento di cui Longarone soffriva prima del disastro era sicuramente la conseguenza della carenza di lavoro, che quindi causava una seppur contenuta emigrazione. Con il disastro del Vajont la struttura della popolazione venne sconvolta.
L’anagrafe comunale, poco prima del 9 ottobre 1963, riportava l’iscrizione di 4.638 abitanti. Il totale delle vittime della tragedia del Vajont è di n°1909, di cui 111 residenti nel comune di Castellavazzo, n°158 nel comune di Erto-Casso, e circa 200 in altri comuni. Il resto delle vittime (1.452), appartenenti a 508 famiglie, delle quali 305 completamente scomparse, spetta dunque al comune di Longarone.
Il ripopolamento dell’area avvenne in poco più di dieci anni: fu certamente un processo lungo e travagliato, ma la popolazione si riportò quasi ai livelli precedenti la tragedia, con un incremento medio annuo, fino al 1973, di circa 100 persone. Se appena dopo il 1963 la popolazione era tendenzialmente più anziana di quella precedente, con gli anni si innestò un processo di rinnovamento che portò Longarone ad avere una percentuale di giovanissimi maggiore che non dieci anni prima. Il fenomeno sociale dell’espansione demografia nel periodo 1964-1965, tipico delle società che subiscono guerre o calamità, si presentò anche a Longarone.
Negli anni successivi, verso il 1970, si assistette ad un flusso immigratorio che aiutò la ricostruzione della popolazione. L’integrazione non sempre fu facile: tra i superstiti e i nuovi arrivati esiste da sempre, e non solo per il caso di Longarone, una profonda diversità di intenti. I primi, toccati dalla tragedia, hanno dovuto lottare per anni durante la ricostruzione, con la ovvia creazione di gruppi di interesse tra di loro in conflitto; gli immigrati invece pagano lo scotto di una naturale difficile integrazione, vuoi per le differenti mentalità che per una naturale opposizione al nuovo ambiente trovato. I nuovi immigrati giunsero in un paese che stava affrontando i problemi della ricostruzione fisica e che non era disposto a sostituire le relazioni sociali scomparse con nuove relazioni. Così nuovi flussi si alternarono a partenze consistenti: molti Longaronesi decisero di trasferirsi altrove, soprattutto verso Belluno.

ASPETTI ECONOMICI

La forte espansione economica avvenuta agli inizi degli anni 60 su base nazionale non ebbe, nel Bellunese ed in particolare nel Longaronese, l’impulso che ci si aspettava, e questo per via delle caratteristiche geografiche ed ambientali determinate dalla lontananza dalle grandi arterie di commercio e dal sistema viario stesso. Il reddito pro-capite era medio-basso, anche se buona parte della popolazione emigrata comportava un afflusso maggiore di moneta, consumata ed investita in provincia. Le aziende principali che costituivano la base di quel processo di industrializzazione e che rappresentavano la speranza di un futuro migliore furono completamente distrutte, e con loro la possibilità di dare lavoro ad oltre 600 persone, come si desume dalla relativa tabella:

Azienda

Filatura Vajont
Cartiera di Verona
M.E.C. Marmi
I.L.O.M.
Procond
Segherie Protti
Varie altre industrie

Posti di lavoro

156
93
66
120
100
20
50

Uno dei primi obiettivi previsti nella ricostruzione fu quello di riportare le attività industriali perlomeno ai livelli precedenti. Nei primi anni dopo la tragedia una legislazione speciale per il Vajont (chiamata “Legge Vajont”) comportò un processo di espansione nel settore industriale che verso la fine degli anni settanta, a consolidamento avvenuto, lasciò il posto ad una maggiore capacità imprenditoriale dovuta a gestioni autonome, senza cioè finanziamenti esterni che ne favorissero l’avviamento.
Lo sviluppo industriale non toccò solo l’area di Longarone ma si estese un po’ in tutta la provincia. Furono redatti dei piani di intervento che interessarono varie zone: accanto al Longaronese comparvero aree come l’Alpago, Sedico e Feltre.
Vennero quindi installati insediamenti produttivi di diverse dimensioni, con il supporto di imprenditoria pubblica e privata; quest’ultima ebbe altresì il merito di occuparsi di un riequilibrio territoriale, e quindi svolse anche una importante funzione sociale. Le favorevoli condizioni di occupazione favorirono il rientro di emigranti, soprattutto gelatieri. Il dato più evidente è che gli addetti all’industria passano, nel comprensorio del Vajont, da 79 del 1961 a 139 nel 1971 ogni 1000 abitanti, con un incremento del 76%. Tale flusso tenderà ancora verso un rialzo portando, alla fine del 1981, questo valore a 161/1000 (incremento del 16%). Dal punto di vista distributivo, le zone industriali nel territorio longaronese attualmente sono tre:

– Villanova: un’area estesa diventata un importante riferimento economico della provincia. Essa ha veramente assunto un aspetto imponente: oltre una trentina di medie-grandi aziende, con la presenza significativa dei maggiori gruppi ottici (Safilo, Marcolin, Dierre, …).

– Fortogna: in località San Martino, vicino al cimitero delle Vittime del Vajont, si estende la zona industriale con la presenza di importanti stabilimenti.

– Codissago: sulla sponda sinistra del Piave ove operano due stabilimenti, entrambi nel settore del legno.

Negli anni 90 le aziende si sono moltiplicate e con esse la presenza di manodopera, richiamata non solo dal Bellunese. Corriere colme di pendolari partono giornalmente dalla Provincia ed una discreta presenza di nuovi immigrati ha comportato un diverso assetto sociale. Ma ormai quasi 37 anni sono passati da quella tragedia e qualsiasi riferimento statistico al passato non avrebbe più senso. Anche Longarone ed il suo comprensorio sono lanciati ormai verso la sfida del nuovo millennio…

URBANISTICA

Plastico del progetto (Foto Zanfron)

Il progetto per la nuova Longarone, redatto da Giuseppe Samonà, con la consulenza dell’economista Nino Andreatta, del sociologo Alessandro Pizzorno e la collaborazione di altro personale tecnico, prevedeva la costruzione immediata delle residenze, il cui nucleo principale doveva nascere un po’ più in alto del vecchio centro, per poter favorire la realizzazione di case a schiera disposte a gradoni, con i tetti delle case sottostanti che diventavano terrazze per le case più alte.
I servizi, come le attività direzionali, la scuola, la chiesa, la stazione, l’ufficio postale, sarebbero sorte in una seconda fase, molto più in basso. Le industrie si sarebbero situate a Codissago e a Villanova, le attività artigianali a Fortogna e tutte avrebbero dato lavoro a circa 1.000 persone.
Questo piano che, sulla carta, poteva anche presentarsi all’avanguardia, in realtà fu stravolto non tanto nelle grandi linee, ma nella realizzazione pratica. I risultati di una disomogenea concezione architettonica sono ben visibili anche oggi: gruppi di case di mediocre fattura si alternano a tentativi, mal riusciti, di dare un tocco moderno alla costruzione. Davvero poche le costruzioni che possono essere additate come esempio: il paese è composto da una serie di edifici squadrati ed austeri affacciati su di un ampio viale rettilineo; così il “cuore del paese”, come molti cittadini nostalgici ricordano, è stato cancellato.
A tutto il 1995, nel solo Comune di Longarone sono state ricostruite 761 unità immobiliari (di cui 112 provenienti da altri Comuni, mentre127 sono state ricostruite fuori Longarone), attivate circa 40 aziende di grandi o medie dimensioni, con circa 2.500 posti di lavoro, realizzate opere pubbliche per circa 140 miliardi.
Il paese presenta oggi un aspetto moderno, nel quale risalta la chiesa parrocchiale realizzata, tra il 1975 ed il 1978, dal valente architetto Giovanni Michelucci (1891-1990), in memoria delle vittime del Vajont. Del passato sono rimasti i Murazzi, il Palazzo Mazzolà (1747), sede del municipio, e il campanile della chiesa di Pirago, del 1500.
A qualche chilometro di distanza, nella frazione di Fortogna, il Cimitero delle Vittime del Vajont viene sempre visto con profondo rispetto dalle persone locali e costituisce una tappa d’obbligo per chi voglia rendersi conto della tragedia consumata. Anche nel Comune di Erto si è provveduto ad una riedificazione pianificata, che ha portato alla nascita di un centro abitato sopra il vecchio nucleo del paese. Parte della popolazione ha comunque preferito risiedere nel nuovo Comune di Vajont, inaugurato nel 1971 presso Maniago, sorto dalla necessità di conferire un tetto sicuro ai senzatetto di Erto e Casso.

Panoramica della ricostruzione (Foto Zanfron)

- La Chiesa

Michelucci iniziò il progetto nel 1966 ma il suo non fu un percorso privo di polemiche, come egli stesso confessò: “Le opposizioni al progetto furono durissime. Dovetti spiegare cosa significa la
mia chiesa: il simbolo e l’embrione della resurrezione della città. C’erano dei gran costoni di roccia sul monte opposto alla diga della morte, dove erano state previste le aree per la nuova Longarone. La chiesa doveva nascere in continuità con questa natura, il cemento doveva continuare le rocce, quasi per redimere il senso della morte, rinchiuso nella natura, con un segno di speranza”. E tale è la chiesa di Longarone, perchè nelle sue forme dinamiche esprime la vittoria della vita sulla morte e la ricostruzione del paese dalle macerie del Vajont. Legare lo spazio architettonico alla storia del luogo fu una delle intuizioni più originali di Michelucci, che intendeva “realizzare una città in cui ogni edificio, perduta la fissità accademica del monumento, fosse frutto di un dialogo ed esprimesse un destino comune agli uomini e alla loro città”.
Il progetto divenne dunque tema di appassionato dibattito su tutti i “media” del paese, ma finì col venire realizzato sullo stesso sito sul quale era edificata la vecchia chiesa. L’edificio, con il percorso esterno ascendente verso la croce, presenta il motivo del Calvario con la via crucis e il venerdì santo, mentre il vano interno, lasciato nella penombra e nell’intimità della dimensione spirituale dell’esistenza, richiama la tomba vuota di Cristo risorto e la domenica di Pasqua. Come Cristo è morto e risorto, così Longarone è stata distrutta ed è tornata in vita. La distribuzione degli ambienti prevede quindi due aree che si sormontano: quella inferiore, la chiesa vera e propria, dove sono possibili le funzioni religiose, ed un anfiteatro a cielo aperto, raggiungibile anche con una ripida scala a chiocciola che dal piano sottostante in pochi gradini porta alla sommità.
Tutta la chiesa è in cemento armato rigorosamente “a vista”, nella cui composizione oltre al cemento bianco sono presenti una pezzatura fine di calcare metamorfico bianco a grana fine e compatta, estratto dalle cave di Mass di Sedico (Belluno) ed una pezzatura più grossa, costituita da marmo di Castellavazzo, di colorazione rosso bruno.
L’architettura di Michelucci esprime in quest’opera quello che Le Corbusier, a proposito della chiesa di Ronchamp chiamò “il sentimento del sacro”. La chiesa di Longarone, nella sua possente ma slanciata struttura in cemento bianco, facendo leva su un sentimento di intensa religiosità, porta il visitatore ad una sorta di emozione che rasenta la commozione. Oltre che una chiesa, quest’opera può considerarsi anche un monumento a perenne ricordo delle vittime, i cui nomi sono messi in evidenza a pochi metri dall’entrata principale, nelle vicinanze di un’area che espone interessanti reperti recuperati della vecchia chiesa.

- Il Cimitero delle Vittime

Il sito nel quale sorge l’attuale cimitero delle Vittime del Vajont non è nato per caso. Già dalle prime ore della tragedia era necessario trovare un’area adeguata che permettesse una catalogazione dei cadaveri ritrovati e fu quindi individuato questo sito, a poca distanza dal paese di Fortogna – frazione di Longarone – sul quale è sorto in poco tempo uno dei luoghi più tristi della storia del Vajont.
Il Vescovo di Belluno Muccin, che tanto aveva sofferto per la tragedia e che tanto si era adoperato per allegerire il dolore dei superstiti, è oggi sepolto qui, per sua volontà, accanto all’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Larese, al cooperatore don Lorenzo Larese e insieme ai morti che anche per merito del Presule hanno ottenuto una sepoltura “dignitosa e cristiana”.
Il cimitero di Fortogna è stato ed è un importante luogo di ritrovo per le varie manifestazioni periodiche che ricordano la tragedia e, tra non molto, sarà parte integrante di un progetto di ristrutturazione promosso della Amministrazione di Longarone.

(Foto Arcivescovado di Belluno)

Bare in attesa di sepoltura
(Foto Zanfron)

- Il Comune di Vajont

Il sito nel quale sorge l’attuale cimitero delle Vittime del Vajont non è nato per caso. Già dalle prime ore della tragedia era necessario trovare un’area adeguata che permettesse una catalogazione dei cadaveri ritrovati e fu quindi individuato questo sito, a poca distanza dal paese di Fortogna – frazione di Longarone – sul quale è sorto in poco tempo uno dei luoghi più tristi della storia del Vajont.
Il Vescovo di Belluno Muccin, che tanto aveva sofferto per la tragedia e che tanto si era adoperato per allegerire il dolore dei superstiti, è oggi sepolto qui, per sua volontà, accanto all’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Larese, al cooperatore don Lorenzo Larese e insieme ai morti che anche per merito del Presule hanno ottenuto una sepoltura “dignitosa e cristiana”.
Il cimitero di Fortogna è stato ed è un importante luogo di ritrovo per le varie manifestazioni periodiche che ricordano la tragedia e, tra non molto, sarà parte integrante di un progetto di ristrutturazione promosso della Amministrazione di Longarone.

RICORRENZE E MANIFESTAZIONI

A Longarone l’anniversario del 9 ottobre viene ogni anno celebrato con particolare solennità. E’ giornata di lutto cittadino : fabbriche, uffici, scuole, negozi rimangono chiusi e il tempo è dedicato alla preghiera, al ricordo, alla riflessione.
In Municipio viene tenuta la commemorazione civile, presenti autorità, superstiti, popolazione, con un richiamo alla “lezione” del Vajont, “a non dimenticare”, ed anche – soprattutto nel periodo della ricostruzione – con un resoconto dei risultati conseguiti nell’anno trascorso ed una panoramica sulle prospettive future.
In corteo ci si porta poi alla Chiesa di Longarone, ove una corona viene deposta nella cripta sui ruderi del vecchio tempio, e quindi celebrata una messa per le vittime e per la comunità risorta. Un’altra messa si tiene al pomeriggio, al cimitero di Fortogna, concelebrata dal Vescovo di Belluno – Feltre e dai sacerdoti dei paesi che furono coinvolti nel disastro, presenti i Sindaci dei quattro Comuni sinistrati. II rito è a suffragio di tutte le vittime innocenti, “a perenne memoria del loro sacrificio e in attesa della risurrezione alla fine dei tempi”.
La giornata si conclude a notte, nella Chiesa di Longarone, con una cerimonia religiosa, ogni anno con modalità diverse, che si chiude con il suono della campana alle 22.42, ora del disastro, seguito dalla lettura alla radio locale dei nomi delle 1.909 vittime.
La partecipazione a queste cerimonie è sempre rilevante; la ricorrenza è infatti occasione di aggregazione per la comunità e di meditazione sulla sua identità e sulla sua stori, nonché di richiamo per i superstiti emigrati altrove e per quanti vissero la tragedia come protagonisti e testimoni nei soccorsi e nella ricostruzione. Non mancano delegazioni di paesi con cui Longarone ha avuto e ha rapporti nati a seguito della tragedia, come quella di Tesero (Trento), il Comune che nel 1985 fu colpito da un disastro simile, in cui pure determinanti furono le responsabilità dell’uomo, che provocò 269 vittime (una stele nel cimitero di Fortogna ricorda la singolare tragica analogia tra i due avvenimenti).
Simili cerimonie si tengono anche negli altri Comuni del Vajont; particolarmente significativa quella che, al mattino del 9 ottobre, ha luogo sulla frana, nella chiesetta costruita a ricordo delle vittime del luogo.
La ricorrenza del 9 ottobre è anche occasione di significative manifestazioni culturali, sempre ispirate ai valori tratti dall’avvenimento: in particolare concerti, mostre d’arte, rappresentazioni teatrali, manifestazioni sportive. Notevole rilievo vi hanno convegni, dibattiti, presentazione di pubblicazioni sulle cause, la dinamica, le conseguenze del disastro e la ricostruzione, oppure su temi di solidarietà, di prevenzione di calamità, di protezione civile, di ricostruzione urbanistica, economica e sociale di paesi distrutti da disastri. Vengono concesse onorificenze e cittadinanze onorarie a chi si distinse nell’opera di soccorso o nella ricostruzione materiale o morale del paese. Le scuole locali vengono coinvolte ampiamente ed espongono attraverso mostre e/o spettacoli i risultati di lavori di conoscenza e di studio dei fatti del Vajont.

Foto d’Archivio (Comune di Longarone)

Cerimonia religiosa sui resti della chiesa
(Foto Zanfron)

La ricorrenza del 9 ottobre è stata anche l’occasione per l’inaugurazione di importanti opere pubbliche significative per la ricostruzione: ad es. nel 1971 la Casa di Riposo e l’Asilo “Angelina Lauro”, nel 1973 la Scuola media; il 9 ottobre 1983 ebbe luogo la consacrazione della chiesa del Michelucci e nel 1986 la Scuola elementare fu dedicata ai “Bambini del Vajont”.
In particolari circostanze le manifestazioni assumono uno spessore eccezionale ed un rilievo di carattere nazionale: così nel 1973 ebbe luogo la “marcia della ricostruzione” che vide la partecipazione di oltre 3000 persone, snodandosi dal cimitero di Fortogna al centro di Longarone. Nel 1983 fu celebrata, alla presenza del Presidente della Repubblica Pertini, “la giornata della solidarietà” verso tutti coloro che aiutarono la rinascita del paese. Nel 1997 l’attore Marco Paolini vi tenne la sua celebre “orazione civile” sul Vajont, uno straordinario spettacolo teatrale, che ebbe suggestivo e coinvolgente svolgimento sulla frana del Toc, fu trasmesso sulla rete televisiva nazionale e seguito da quasi 4 milioni di spettatori. Nel 1998 fu indetta dai quattro Comuni la “giornata dei soccorritori”, che vide riunite a Longarone oltre 4000 persone che avevano partecipato alle operazioni di soccorso alle popolazioni superstiti e soprattutto si erano adoperate fino allo stremo per recuperare le salme e dare loro sepoltura.
A conclusione la ricorrenza del 9 ottobre è il segno più evidente di come le comunità locali non dimentichino il disastro e come essa sia non solo occasione di ricordo e di commemorazione ma manifestazione della rinascita e di rinnovato impegno per il futuro.