IL LONGARONESE E LA VALLE DEL VAJONT
La differente natura del territorio nelle due vallate – la valle del Vajont caratterizzata da dirupi rocciosi a picco sul fiume, con terrazzamenti scoscesi di difficile accesso; la valle del Piave aperta, ampia, con territorio pianeggiante e la presenza di estensioni boschive d’alto fusto come risorsa da sfruttare, facilmente raggiungibili dal bellunese, dalla Marca trevigiana e dal Cadore – ha determinato uno sviluppo socio-economico diverso fra le due realtà geografiche.
Le maggiori risorse esistenti nel territorio del longaronese hanno richiesto la realizzazione di infrastrutture viarie (strade rotabili e ferrate) moderne ed efficienti rendendo in questo modo il capoluogo un centro particolarmente fecondo di fermenti imprenditoriali, culturali ed economici di primaria importanza se paragonato alla media nazionale. I paesi limitrofi della valle del Vajont gravitavano sul longaronese con i loro prodotti e le loro attività in uno scambio che mitigava le diversità fra le due vallate, fin dai primordi della storia.
- Aspetti Socio-Economici e Storia Recente
L’economia del passato rispecchiava quella di parecchie valli limitrofe ed interessava le lavorazioni dei prodotti di prima necessità, gli unici che al tempo costituivano una vera forma di commercio.
La produzione di carbone proveniva in gran parte dalla Val Zemola, attraverso il sentiero che confluiva nel “troi de Sant’ Antoni”, una mulattiera che da Casso conduceva a Codissago. Attraverso questa passarono i Patriarchi di Aquileia per visitare i territori del Cadore sotto la loro giurisdizione.
Il legname, elemento costruttivo di prim’ordine, veniva trasportato lungo la “Via del Piave” fino a Venezia, dando origine ad un mestiere a carattere ereditario, quello dello “zattiere” che, fino ad una cinquantina di anni fa, contraddistinse il longaronese.
Pregiati marmi, come la pietra di Castellavazzo, conosciuta per la sua ottima lavorabilità nonché per le sue tonalità calde dovuti ai rosa soffusi, o la meno conosciuta ma quasi altrettanto pregiata pietra di Erto, sarebbero andati ad arricchire le architetture delle case venete. La lavorazione, eseguita dalle mani esperte degli scalpellini di Castellavazzo, diventava anche espressione artistica. Due esempi possono testimoniare l’arte di questi maestri: la vecchia fontana di Castellavazzo e le decorazioni artistiche del Palazzo Mazzolà, a Longarone, oggi sede municipale. Un ampio resoconto di questa storia passata possiamo oggi riviverla negli importanti musei degli Zattieri, a Codissago, e della Pietra e Scalpellini, a Castellavazzo, esempi forse unici nel contesto nazionale.
Alcune produzioni, anche se non praticate intensamente, come ad esempio la lavorazione del ferro (con manufatti provenienti soprattutto dalla valle di Zoldo), interessavano comunque il commercio, con spedizioni che avvenivano “via zattera”, attraverso le preziose acque del Piave.
L’ambiente della valle del Vajont, invece, ha sempre avuto qualcosa che lo distingueva dalle valli limitrofe, compreso il longaronese. L’isolamento territoriale, con paesi situati ad una altitudine media di circa 800 metri e le caratteristiche climatologiche ben più dure (famose le storiche e copiose nevicate), avevano da sempre indotto i propri abitanti ad emigrare in tutta Italia e nel mondo.
Il collegamento tra le due vallate avveniva, fino al 1912, attraverso una mulattiera che da Casso giungeva fino al ponte sul Piave, a Codissago, naturale prolungamento del “sentiero del Carbone” (Casso – S. Martino). Solo in seguito fu completata la carrozzabile, continuazione di quella realizzata alla fine del 1889 che, dal Cellina, arrivava ad Erto.
Il longaronese, favorito certamente da una posizione più previlegiata, dovuta essenzialmente alla vicinanza del fiume Piave ricevette, attorno al XVIII° secolo, un impulso legato ad espressioni artistiche di gran rilievo, alimentate soprattutto dal grande ritmo commerciale intrecciato da secoli con la Serenissima Repubblica di Venezia.
Il XIX° secolo richiamò, da paesi lontani, personaggi importanti: Sir Alessandro Malcolm, inglese innamoratosi di questi luoghi, creò una villa-giardino contornata di piante esotiche e statue stupende di autori prestigiosi (ad esempio Urbano Nono). La villa ospitò a più riprese persone di alto rango; l’imperatrice Federica, sorella della Regina Vittoria, e l’etnologo Henry Layard, scopritore di Ninive e Babilonia. Le segherie Malcolm andarono inoltre a potenziare il commercio della vallata, dando lavoro a decine di famiglie. Per la maggior parte della popolazione, date le caratteristiche morfologiche del territorio, la sopravvivenza era a malapena assicurata dalla coltivazione degli scarsi e limitati terreni coltivabili.
L’allevamento e la silvicultura presero piede contribuendo ad un contenuto arricchimento di poche persone. Queste attività non potevano però far fronte al crescente bisogno di una popolazione in forte crescita e così, verso la fine dell’800, si sviluppò una intensa emigrazione. In contemporanea molte cose stavano cambiando: il sopraggiungere delle prime linee elettriche, il completamento della tratta ferroviaria Ponte nelle Alpi-Longarone e della strada per la Val Cellina, la nascita di nuovi stabilimenti quali la birreria di Roggia ed il cartonificio del Vajont. Stava prendendo corpo una fisionomia aziendale che portava sempre più alla realizzazione di nuovi stabilimenti industriali ed artigianali; questi si sarebbero affiancati alla miriade di piccole attività commerciali che da sempre richiamavano gente dalle altre vallate.
Quando tutto sembrò bene avviato arrivò la guerra del 1915-18 a riaggravare la situazione. Ma nel frattempo nulla poteva più fermare la creazione di ulteriori aziende, neanche il secondo conflitto bellico, scoppiato una ventina d’anni dopo. Dopo il 1945 si assistette ad una seconda ondata di
emigrazione, anche se meno drammatica, ed un contributo importante lo diedero i gelatieri. Dalle loro esperienze nacque il desiderio di creare una “Mostra Internazionale del Gelato”, che ad oggi rappresenta la manifestazione mondiale più importante nel settore. Le nuove condizioni economiche dunque portarono ad una rivoluzione del modo di intendere il lavoro. Ritmi e sistemi operativi operarono una profonda conversione nel modo di vita delle persone, e nel 1963 il sistema era ancora in forte espansione, ben lungi ad aver raggiunto il suo culmine.
Il disastro del Vajont sembrò cancellare, in pochi attimi, la storia di un intero territorio…
- Realtà Geografiche
Le due valli appartengono a province e regioni differenti. La valle del Piave (nella quale è situato il longaronese) spetta alla provincia di Belluno e quindi alla Regione Veneto; la valle del Vajont alla provincia di Pordenone che rientra nei confini della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia.
Sono oggi collegate dalla S.S. n°251 Zoldano-Cellina attraverso gallerie scavate nella roccia che oltrepassano il confine proprio in corrispondenza del corso inferiore del Vajont.
Il longaronese e la valle del Piave
Nella valle del Piave le cime più alte (Talvena e Pelf) sono nascoste da montagne di altezza inferiore, ma che, data la loro conformazione, incombono con rude asprezza sui paesi sottostanti, compresi altimetricamente tra i 400 e gli 800 metri.
Questa è solcata longitudinalmente dal fiume Piave, le cui acque assumono, a partire da Castellavazzo, un carattere meno nervoso rispetto al tratto precedente.
A valle dell’abitato di Longarone il fiume riceve, quasi in contemporanea, gli affluenti Maè, proveniente dalla valle di Zoldo, e Vajont. Più a sud viene alimentato dal torrente Desedan, che nasce nella valle di Cajada.
A nord il corso del Piave si restringe in corrispondenza dell’abitato di Castellavazzo, dal quale spicca l’antica Chiesa che, dalle balze di uno sperone roccioso sovrastante il greto del fiume, domina la valle. Il paese viene attraversato dalla S.S. n°51 di Alemagna che collega la Val Belluna al Cadore. Il Castello della Gardona, tra Castellavazzo e Termine, si erge su un costone ripidissimo, a ridosso di un corso d’acqua che in passato rappresentava il confine naturale tra Cadore e Bellunese. Ancor oggi può considerarsi il punto geografico più a nord della vallata longaronese.
La S.S. n°251 Zoldano-Cellina, trasversale alla strada di Alemagna, collega la Val di Zoldo alla Val Cellina, passando per i centri di Longarone (destra orografica del fiume Piave) e Codissago (sinistra).
La valle del Vajont
La vallata del Vajont è dominata, a sud, dal M. Col Nudo e dal M. Toc, la cui parete inclinata e spoglia di vegetazione è testimonianza perenne dell’immane tragedia. A nord è chiusa dalle pendici del M. Borgà e dal M. Porgeit. Il Passo di S. Osvaldo collega, ad est, la Valle del Vajont alla Val Cellina e da qui a Montereale, Maniago, fino al nuovo Comune di Vajont, distante 50 chilometri ed istituito nel 1971. Ad ovest la vallata si restringe (forra del Vajont) per andare ad intersecare, ad angolo retto, la valle del Piave.
Il torrente Vajont, affluente di sinistra del Piave, nel quale sfocia dopo un percorso di 13 chilometri, ha origine dal versante settentrionale del M. Col Nudo, nelle Prealpi Carniche Occidentali. Alimentato inizialmente dalle acque del torrente di Val di Tuora, in prossimità del Passo di San Osvaldo, dopo un primo tratto tortuoso si distende nella conca di Erto. In questo punto viene investito dalle acque dei torrenti Zemola e Mesazzo.
Il Vajont non finisce la sua corsa nell’attuale lago formatosi a seguito del movimento franoso che investì il bacino omonimo. Le acque sono convogliate a valle attraverso una galleria artificiale che attraversa tutto il corpo franoso esistente. Nell’ultimo tratto del corso, prima di confluire nel Piave, il torrente ha dato origine ad un’altra forra, profonda 300 metri, proprio in corrispondenza del punto interessato dalla diga.
Dal punto di vista naturalistico le valli del Piave e del Vajont fanno parte rispettivamente del Parco Naturale delle Dolomiti Bellunesi e del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane che include, oltre al M. Toc, anche tutto il bacino interessato dalla frana.
- Storia
I primi insediamenti umani nel territorio del longaronese e della valle del Vajont risalgono ad epoche lontanissime, come testimoniano i ritrovamenti di un utensile da punta e taglio dell’età della pietra, trovato negli immediati dintorni di Erto, a valle dell’antro del M. Porgeit, e di frammenti fittili, di sicura epoca pre-romana. Il castello della Gardona, estrema propaggine del territorio di Castellavazzo probabilmente risale al tempo delle popolazioni barbare, quando queste erano solite, nel territorio bellunese, erigere castelli, forti di difesa e torri di osservazioni. Castellavazzo infatti era considerato un luogo ottimo per la difesa ed il controllo del territorio. Ma i ritrovamenti maggiori, concentrati soprattutto nella valle del Piave, riguardano proprio il periodo di dominazione romana. A Fortogna sono state portate alla luce alcune tombe; altre, di periodo imprecisato, sono state rinvenute presso Pirago; Dogna ha dato un sepolcreto con monete, armille, anelli, vasi di terracotta scura, mentre Longarone una lapide dedicata ad Asclepio. Resti di via romana, accertati a Roggia, testimoniano il passaggio per la valle di una arteria di traffico, probabile variante alla Claudia Augusta Altinate. Un altro manufatto di indubbia valenza storica è il vecchio ponte di Muda Maè.
Ad Erto invece sono state rinvenute diverse anfore, vasi, bracciali, orecchini, spille, anelli e monete romane grandi e piccole degli imperatori Massimo e Lucio Vero. In località S. Martino i romani edificarono un tempio dedicato a Giove.
Attorno al 1000 la posizione geografica privilegiata del longaronese portò il suo territorio a diventare una delle dieci Pievi sotto la giurisdizione del Vescovo Conte di Belluno. L’area comprendeva, più o meno, il territorio interessato del longaronese attuale, ma era conosciuta con il nome di “Pieve di Lavazzo”, a testimoniare la maggiore importanza di questo centro.
Da quel momento la storia del longaronese si legò a doppio filo con quella di Belluno. Sopportò dapprima la dominazione dei vescovi, nel 1250 di Ezzelino da Romano; nel 1300 subentrarono gli Scaligeri, poi i Da Carrara e i Visconti. Col 1420 passò sotto il dominio della Serenissima Repubblica Veneta.
Il paese di Longarone nacque probabilmente intorno al 1300, centrato sulla chiesa di S. Cristoforo. Singolarmente interessante ed importante un’iscrizione che ricordava l’edificazione del luogo
sacro: scolpita a carattere gotico maiuscolo capitale era una delle prime testimonianze del volgare bellunese.
Longarone divenne poi sede di Regola. Il 7 giugno 1623 la Repubblica di Venezia investì del bosco di Cajada la Regola di “Longarone-Igne-Pirago”, elevata a “Magnifica” nel 1712.
Il secolo XVIII portò famiglie facoltose che esercitarono soprattutto il commercio del legname, elevando il piccolo centro a ben alti fastigi economici. Contemporaneamente la cittadinanza era onorata dell’opera di valenti artisti. Sorsero signorili palazzi, e, sulla fine del secolo, la famiglia Sartori iniziava la costruzione dei Murazzi, alle spalle del paese, per costipare i franamenti del M. Zucco. Max Reinhardt, il grande regista teatrale germanico, avrebbe voluto allestire, tra gli spiazzi della scalea, le tragedie greche.
La storia municipale si rende autonoma solo con la costituzione del Comune, avvenuta per opera di Napoleone nel 1806.
Durante la campagna del 1848 Longarone diede largo contributo di uomini alla causa italiana.
Fra tutti spicca il nome dell’avvocato Jacopo Tasso, nato nel 1801, fucilato a Treviso il 10 aprile 1849 dagli austriaci perchè accusato di reclutare volontari per la difesa di Venezia assediata.
Nella storia del longaronese si distinsero nel campo delle arti l’incisore Niccolò Cavalli (1730 – 1822), maestro del bulino, e il pittore e litografo Pietro Marchi (1810 – 186?), ma più di ogni altro si segnalò Pietro Gonzaga (1751 – 1831) figlio del pittore bellunese Francesco. Pietro Gonzaga, nato a Perarolo, si trasferì a Longarone, richiamato dalla fervente attività commerciale ed industriale che permetteva un intenso sviluppo socio-culturale. Scenografo fra i più grandi del ‘700 italiano, fu promosso pittore di corte da Caterina II, imperatrice di tutte le Russie. Importante fu anche Catterino Mazzola, nato anch’esso nel XVIII° secolo, librettista del grande Mozart.