IL LUOGO
Nel 1940 il geologo Giorgio Dal Piaz, morto il 20 aprile 1962, consulente della SADE e autore delle principali relazioni geologiche che accompagnano i progetti della diga, fornisce una descrizione del luogo sul quale sarà edificata l’opera:
“Fra gli abitanti della provincia di Belluno ed in generale fra i turisti della regione, la parte inferiore della vallata del Vajont, che confluisce nel Piave di fronte a Longarone, viene citata come esempio classico e suggestivo di profondissima gola che s’interna nei monti a guisa di gigantesca spaccatura […].
In questo punto la gola è così angusta e profonda da richiamare alla mente i classici canyon degli Stati Uniti. Anche qui, come nei canyon dell’America settentrionale, il fiume scorre in una profondissima fessura a forma di tortuoso corridoio, i cui fianchi si ergono a pareti verticali per considerevoli altezze”.
Sempre il professor Dal Piaz, in una sua relazione geologica asserisce che: “…se vi è una località la quale colpisce l’osservatore per le peculiari sue caratteristiche morfologiche particolarmente adatte per opere di sbarramento in generale, questa è appunto la valle del Vajont. […] A cominciare dal ponte di Casso fino quasi allo sbocco della valle del Vajont in quella del Piave per un tratto di circa 3 chilometri, si può dire che vi sono innumerevoli sezioni in cui la gola si presta per la costruzione di una diga di sbarramento. […]
La valle del Vajont, per quanto a prima vista faccia l’impressione di una gigantesca fessura generata inizialmente da una spaccatura della roccia, non ha nulla a che fare con tale genere di fenomeni. Essa è una vera e propria gola di erosione, un autentico solco inciso nella massa rocciosa, quasi che una gigantesca sega, in cui lo smeriglio è rappresentato dai ciottoli alluvionali messi in azione dalla corrente nei periodi di piena, abbia tagliato profondamente la serie stratigrafica continua e regolare che forma il fianco sinistro della valle del Piave. Per tale circostanza i fianchi della valle del Vajont sono fra loro strettamente legati di continuità per mezzo della roccia tuttora esistente al di sotto dell’alveo”.
I PRIMI PROGETTI
Le acque del Vajont sono sempre state viste sotto l’ottica di un loro sfruttamento. Al 10 gennaio del 1900 risale la prima richiesta ufficiale per l’utilizzazione delle acque del torrente Vajont ad opera di Gustavo Protti, proprietario della cartiera omonima situata a Codissago, nel comune di Castellavazzo; l’uso richiesto era “forza motrice”. L’anno successivo venne così approntato il progetto di una diga alta appena 8 metri, ma sufficiente, attraverso un canale a condotta forzata di portata pari a 700 litri al minuto secondo, a produrre l’energia richiesta.
Una ventina di anni dopo, precisamente nel 1925, fu considerata la possibilità di sfruttare in modo sistematico l’acqua, con conseguente produzione idroelettrica.
Sulla base di studi preliminari compiuti con la consulenza di J. Hug, noto geologo svizzero, il progettista del “Grande Vajont”, l’ing. Carlo Semenza, stilò, nel 1929, un primo progetto organico di sfruttamento delle acque del Vajont e di insediamento di una grande diga. L’elaborato venne presentato a nome e per conto della Società Idroelettrica Veneta. La diga ad arco avrebbe dovuto raggiungere un’altezza di 130 metri e contenere un invaso di 33 milioni di metri cubi. Nel 1934 la SADE assorbiva la Società Idroelettrica Veneta, rilevandone tutte le posizioni, e nel 1937 venne redatto il progetto esecutivo della diga, sempre a firma dell’ing. C. Semenza. Si notano comunque importanti variazioni: la diga viene infatti prolungata in altezza fino a 190 metri con un invaso stimato di 46 milioni di metri cubi e viene ubicata nei pressi del ponte del Colombèr, su indicazioni del geologo Dal Piaz; inizialmente era prevista all’altezza del ponte di Casso.
Nel 1939 C. Semenza, per conto della Società idroelettrica Dolomiti, anche essa in seguito assorbita dalla SADE, presentò un progetto che prevedeva l’utilizzazione delle acque del torrente Boite e del Piave, sul tipo di quello del Vajont.
Un anno dopo nasceva il progetto “Derivazione dai fiumi Boite – Piave – Vajont: fusione e coordinamento di precedenti domande”, avanzato dalla SADE. Questa società era diventata ormai monopolista assoluta nel contesto di un piano di sfruttamento delle forme energetiche dovuto alla guerra mondiale da poco iniziata.
Nel 1948 il progetto del Vajont venne integrato in quello “Boite – Piave – Maè – Vajont – Val Gallina” e solo successivamente, nel 1957, assunse il nome del “Grande Vajont”.
- 1940 - il progetto "Boite - Piave - Vajont"
Il 22 giugno 1940 la SADE presentò al Ministero dei Lavori Pubblici, attraverso l’ufficio del Genio Civile di Belluno, una domanda di “Derivazione dai fiumi Boite – Piave – Vajont: fusione e coordinamento di precedenti domande”. Il progetto prevedeva lo sbarramento del Piave in corrispondenza del ponte Rauza, presso Pieve di Cadore, e la creazione di un serbatoio nel quale sarebbero confluite le acque del Boite presso Vodo, scaricandole vicino Sottocastello. Qui sarebbe nata una centrale per l’utilizzazione del dislivello relativo. Dal serbatoio del Piave le acque
sarebbero state convogliate, in galleria, al serbatoio del Vajont e da qui alla grande centrale di Soverzene.
La fusione integrale di vari progetti precedenti era diretta ad ottenere la concessione per la maggiore potenza utilizzabile, sfruttando inoltre anche alcuni affluenti di sinistra del Piave, le cui portate sarebbero state immesse direttamente nel Vajont. Le centrali avrebbero avuto le seguenti caratteristiche:
- Sottocastello: portata media mc/sec 6.90 – salto medio metri 173.50 – Potenza nominale media HP. 15.692
- Soverzene: portata media mc/sec 36.10 – salto medio metri 255.65 – Potenza nominale media HP. 123.053
- Il serbatoio di Ponte Rauza, sul Piave, avrebbe avuto una capacità di circa 49 milioni di mc, mentre quello del Colomber, sul Vajont, di circa 59 milioni.
Per tutti i serbatoi progettati la SADE chiese anche l’esonero del canone per la derivazione, salvo la quota spettante agli enti locali, la facoltà di sottoporre a contributo i fondi irrigabili, contributi governativi per la spesa e l’esecuzione dell’opera e naturalmente i benefici fiscali per le imposte indirette.
Il 15 ottobre 1943 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici espresse voto favorevole al progetto, previa visione dello stesso, delle opposizioni del Genio Civile di Belluno e delle controdeduzioni della SADE. Negli anni seguenti (1945 – 1946) il voto fu confermato ed integrato.
- 1948 - il progetto "Boite - Piave - Maè - Vajont - Val Gallina"
Il progetto esecutivo fu presentato il 18 maggio 1948, con varianti e modifiche al progetto di massima e ai dati di concessione, con lo scopo di migliorare l’utilizzazione delle acque. In particolare si chiedeva lo spostamento della presa da Vodo a Valle di Cadore, con la modifica della portata e del salto della centrale di Sottocastello; un piccolo spostamento a monte dei rigurgiti provocati sia dalla diga di Pieve che da quella del Colombèr; una derivazione della Val Gallina, nuova, con creazione di un serbatoio ed utilizzazione del relativo bacino.
Naturalmente la domanda includeva ancora una nuova richiesta delle sovvenzioni ed agevolazioni previste dal Testo Unico 11 dicembre 1933, ritenute indispensabili per coprire parzialmente il disavanzo economico dell’impresa. Veniva altresì puntualizzato che la produzione annua di oltre 750 milioni di KWh avrebbe contribuito in modo cospicuo alla ripresa economica nazionale. Nella nuova relazione geologica Dal Piaz distingueva la valle del Vajont in due settori vallivi con caratteri morfologici completamente diversi; confermava per la parte inferiore della vallata la possibilità di impiantare una diga di sbarramento di altezza considerevole anche se la parte superiore era caratterizzata “dalla presenza di vastissimi rivestimenti di materiali detritici di natura morenica e specialmente franosa che rivestono i fianchi del bacino”. Secondo Dal Piaz una frana, staccatasi
dalle pendici del monte Borgà, si era accumulata in epoca antica sul fondo valle, risalendo in parte la sponda opposta. Successivamente le acque del Vajont avevano inciso la massa nel suo punto inferiore. Ma la frase della relazione che doveva forse allarmare era relativa ad una zona, il Pian di Pineda che, secondo il luminare “non mancherà di dar luogo, specialmente in conseguenza a fenomeni di svaso, a distacchi e smottamenti più o meno notevoli”. In generale un po’ tutta la relazione geologica iniziava a mettere in dubbio le perfette condizioni morfologiche della vallata, ma si rimandava a successivi studi che avrebbero chiarito in via definitiva l’entità del problema, se problema doveva essere…
- 1957 - il progetto "Grande Vajont"
Venne presentato il 31 gennaio 1957, come variante al precedente, ma praticamente riguardava il solo Vajont, essendo gli altri impianti già da tempo in attività. Ragioni geologiche avevano imposto di spostare leggermente l’ubicazione della diga, per aumentarne l’altezza di altri 64 metri e portare il livello massimo di invaso da quota 677 a quota 722,50. La capacità di massimo invaso passava da 58,2 a ben 150 milioni di metri cubi, con una producibilità annua di 150 milioni di KWh. Per utilizzare una parte del salto creatosi dal maggior invaso veniva creata una nuova centrale, detta di Colombèr. Nella relazione geologica il Dal Piaz si riteneva favorevole all’innalzamento dell’invaso e riproponeva quanto già detto nella precedente analisi del 1948. Certamente erano da prendere in considerazione dei provvedimenti cautelativi relativi all’attestamento delle fiancate della diga e alle opere di impermeabilizzazione, che si sarebbero dovute estendere in profondità per via della maggior pressione statica e di penetrazione.
Da una lettera indirizzata dal prof. Dal Piaz all’ing. Semenza si legge “Ho tentato di stendere la dichiarazione per l’alto Vajont, ma le confesso sinceramente che non m’è riuscita bene, e non mi soddisfa. Abbia la cortesia di mandarmi il testo di quella ch’Ella mi ha esposto a voce, che mi pareva molto felice. La prego inoltre di dirmi se devo mettere l’intestazione dell’Ente al quale deve essere indirizzata, e se devo mettere la data d’ora o arretrata. Appena avrò la sua edizione la farò dattilografare e Le farò l’immediato invio……….”. E pensare che nel 1948 il prof. Dal Piaz, sempre in una lettera al Semenza, dichiarava, riguardo alla possibile elevazione della diga: “Le confesso che i nuovi problemi prospettati mi fanno tremare le vene e i polsi”. Ma ormai l’indagine seria e responsabile pareva stesse lasciando il posto alla decisione di realizzare in ogni caso il progetto. “Il tempo corre ancora più forte dei nostri pensieri” così scriveva l’ing. Semenza al prof. Dal Piaz, sottolineando l’urgenza di presentare nuovi elaborati al fine di attuare quanto prima l’opera.
Il governo infatti aveva imposto un’accelerazione ai progetti riguardanti la produzione di energia elettrica, che servivano a coprire il fabbisogno nazionale, ed aveva pensato a delle penalizzazioni per le società che ritardavano l’esecuzione delle opere.
Alla fine, dunque, in un convulso intreccio di elaborati, venne presentato il progetto ed il quadro definitivo della costruzione: la diga avrebbe dovuto presentare le seguenti caratteristiche:
- quota di fondazione: 463,90 m
- quota di coronamento: 725,50 m
- quota di massimo invaso: 722,50 m
- altezza massima: 261,60 m
- lunghezza del coronamento: 190,50 m
- spessore alla base: 21,11 m
- spessore alla sommità: 3,40 m
- volume di calcestruzzo: 353.000 mc
- corda dell’arco medio di testa: 169,00 m
I MOTIVI DEL PROGETTO
E’ nell’ottica di un grandioso programma stilato dalla SADE nel giugno 1940, che prende corpo il progetto Vajont.
La società, in quel periodo, dichiarava: “Negli ultimi anni il solo consumo di energia di Venezia e del porto industriale di Marghera ha sorpassato il mezzo miliardo di KWh, vale a dire oltre un terzo di tutta l’energia prodotta nella regione veneta considerata, con tendenza ad ulteriori rapidissimi incrementi, in conseguenza della richiesta delle industrie ivi installate.
Pertanto i circa 340 milioni di KWh producibili dagli impianti in oggetto troveranno immediato impiego servendo a coprire l’immancabile ulteriore fabbisogno che si verificherà nei prossimi anni”
Gli impianti previsti erano gli insediamenti dei seguenti serbatoi:
Vodo di Cadore – 700.000 mc
Pieve di Cadore – 500.000.000 mc
Vajont – 500.000.000 mc
Ma è soprattutto nel 1953, quando il Conte Vittorio Cini, nuovo presidente della SADE, in una sua visita restò affascinato dell’ambiente e dell’idea del progetto, che la speranza di vedere realizzata la diga più alta al mondo si concretizza in via ufficiale. Il “sogno della mia vita”, per citare le parole del progettista l’ing. Carlo Semenza, covato ormai da qualche decennio, si stava trasformando, malauguratamente, in realtà.
L'APPROVAZIONE DEL PROGETTO
La SADE non attese le autorizzazioni dovute: già dal settembre 1956 iniziò i lavori di scavo che crearono i primi problemi. Il Genio Civile di Belluno si fece sentire e le lamentele giunsero distinte al direttore generale della SADE, l’ing. Antonello. Così, in data 5 aprile 1957, l’Ufficio del Genio Civile di Belluno depositò il progetto esecutivo della diga presso la IV Sezione del Consiglio Superiore dei LL. PP. per ottenerne l’approvazione. Ma la Presidenza generale del Consiglio Superiore aveva accolto la proposta del Presidente della IV Sezione di far esaminare il progetto dall’Assemblea Generale: una procedura alquanto discutibile, ma il fatto che la diga andasse a completare uno dei più recenti e più grandi impianti idroelettrici italiani era più importante di qualsiasi prassi legale. L’esame del progetto fu affidato ad una Commissione incaricata di relazionare al Consiglio superiore. Il progetto venne esaminato anche dal Servizio dighe, in una relazione dettagliata che analizzava i suoi criteri generali, le caratteristiche morfologiche e geologiche della zona, la massima piena, la portata delle opere di scarico, il tempo di vuotatura, le opere di scarico e presa, le opere di derivazione provvisoria ed altro ancora, fino ai materiali da costruzione.
Il progetto doveva essere completato da una relazione geologica del prof. Dal Piaz, da una relazione del prof. Oberti previa prova su un modello della diga in corso all’Ismes di Bergamo e da una verifica del calcolo della struttura, affidato all’Istituto Nazionale per le applicazioni del calcolo. Lapidaria la conclusione: “…la grandiosa diga del Vajont trova sicure possibilità tecniche di realizzazione date le naturali caratteristiche della valle del Vajont, determinate dal concorso di eccezionali favorevoli caratteristiche morfologiche e geognostiche”.
Il 6 luglio 1957 fu comunicato il voto favorevole per il “Grande Vajont”, ed il 15 luglio la IV Sezione del Consiglio Superiore autorizzò l’inizio dei lavori in via provvisoria, giustificando l’atto con la motivazione che l’esecuzione dell’opera rendeva possibile l’assunzione di manodopera locale.
GLI ESPROPRI
Il primo progetto esecutivo che fu depositato presso i comuni interessati dall’opera porta la data dell’11 maggio 1949. L’11 luglio di quell’anno il Genio Civile di Belluno effettuò un sopralluogo al fine di accertare eventuali riserve ed opposizioni da parte delle amministrazioni locali, che furono veramente tante e si riferivano essenzialmente alla tutela dei diritti acquisiti e degli interessi di Consorzi, alle esigenze igieniche, turistiche, panoramiche e alla tutela del patrimonio ittico. Fu richiesto il riconoscimento di un rimborso a favore dei Comuni rivieraschi, la conservazione delle comunicazioni e le necessarie opere di difesa lungo il perimetro dei serbatoi.
Il 30 luglio 1949 venne presentata, dal Sindaco di Longarone, un’opposizione: in conseguenza della soppressione del corso del torrente Vajont, temeva che il Piave, non ricevendolo più come affluente di sinistra, potesse deviare il suo corso verso sinistra, provocando erosione e danni nei terreni di proprietà delle frazioni di Dogna e Provagna. In data 1 agosto 1949 il Sindaco di Erto Casso lamentò il fatto che con il maggior invaso molti terreni, tra i più fertili e redditizi del Comune, sarebbero stati sommersi e con essi molte abitazioni. Il numero di queste ultime era veramente rilevante: ben 170, con 3.000 ettari di terreno del più produttivo. La località Pineda sarebbe altresì rimasta isolata e le comunicazioni restanti dopo l’invaso sarebbero state rese più difficili. In breve venne richiesta, oltre al giusto e dovuto risarcimento ai proprietari, anche la tempestiva segnalazione di nuove varianti interessanti il progetto ed una accurata ricostruzione delle infrastrutture, soprattutto stradali; che venissero infine riconosciuti, al Comune stesso, dei benefici dovuti agli espropri e alla utenza delle acque.
Nonostante tutte queste proteste, più che giustificate (ma che non toccavano stranamente l’aspetto dell’incolumità delle persone!), la SADE procedette agli espropri: al Comune di Erto Casso restavano ormai solo 2.222 ettari: boschi, prati e pascoli e seminativi dei più fertili erano destinati a scomparire per sempre, un vero genocidio ambientale. In seguito la tutela dei diritti della popolazione di Erto e Casso venne assunta dal Comitato per la difesa del Comune di Erto e, successivamente, dal Consorzio Civile per la rinascita della Val Ertana, costituitosi a Erto il 3 maggio 1959, alla presenza di 126 persone, un notaio e diversi testimoni.
- L'opposizione del Comune di Longarone
L’opposizione del Comune di Longarone fu formalizzata attraverso una lettera del Sindaco Giuseppe Celso, di cui si riporta il testo:
Comune di Longarone
A S.E. il Ministro dei Lavori Pubblici, Roma
per tramite l’On.le Uff. del Genio Civile. Belluno
Oggetto: Utilizzazione idroelettrica
Piave – Vajont
Opposizione
Vista l’ordinanza 11 maggio 1949 n.5273 dell’Ufficio Genio Civile di Belluno relativa alla variante da apportare agli impianti secondo il progetto esecutivo SADE 11.5.1948 a firma dell’ing. Carlo Semenza;
visto il T.U. 11.12.1933 n.1775 sulle acque e sugli impianti elettrici;
Ritenuto che la costruzione della diga sul Vajont accordata in base al Decreto 24.3.1948 n.723 provocherà l’assorbimento delle acque del torrente stesso;
Che l’elevazione della diga proposta con la variante al progetto esecutivo e di cui all’ordinanza dell’Ufficio del Genio Civile di Belluno dd. 11.5.1949, viene ancor più ad aggravare la situazione;
Avendo ragione di ritenere che la soppressione del torrente affluente del Piave provocherà uno spostamento del corso del Piave stesso che non trovando più alcun ostacolo sarà portato a deviare verso la sponda sinistra provocando erosione e danni.
Che le frazioni del Comune Dogna e Provagna che sorgono sulla riva sinistra del fiume Piave subito dopo la confluenza del Vajont-Piave potranno subirne un danno diretto.
Il Sindaco sottoscritto a nome e nell’interesse degli abitanti delle due Frazioni presenta formale opposizione e chiede che vengano costruiti i necessari argini e repellenti ed in genere tutte quelle opere che saranno ritenute necessarie dal punto di vista tecnico a salvaguardare i terreni delle Frazioni stesse – impregiudicati tutti i diritti dei proprietari che venissero lesi in seguito all’esecuzione del progetto di cui sopra.
Longarone, 30 luglio 1949
Il Sindaco
Celso Giuseppe
- L'opposizione del Comune di Erto e Casso
Ecco quanto scrisse al Ministro dei LL. PP. il Comune di Erto e Casso.
A Sua E. il Ministro dei Lavori Pubblici, Roma
tramite l’On. Ufficio del Genio Civile di Belluno
Oggetto: utilizzazione idroelettrica del torrente “Vajont”.
[…] Ritenuto:
1) Che la vitale importanza degli interessi economici comunali e privati seriamente compromessi; che la crescente preoccupazione economica, rappresentano gli assillanti problemi che la costruzione del locale bacino idroelettrico “Vajont” prospetta, come un incubo nel vasto quadro panoramico delle attività e necessità vitali odierne di questa popolazione, e che richiedono un immediato esame ed una più rapida ed adeguata soluzione;
2) La popolazione complessiva del Comune ascende a 2.270 abitanti, di condizione preminentemente agricola. La superficie del territorio è divisa longitudinalmente, per oltre sette km. dal torrente “Vajont”. Lungo il pendio dei due versanti e fino ad una discreta altitudine si stendono i terreni più fertili del nostro complesso agricolo, che rappresentano all’incirca i 2/3 della produzione agricola e zootecnica locale. Sul versante opposto sono ubicate le borgate: Spianada, Ceva, Prada e Liron, e quella più popolata denominata Pineda e numerosi casolari, sparsi lungo le verdeggianti pendici del M. Toc, congiunti rispettivamente al Capoluogo (Erto) da quattro mulattiere principali e tre ponti sul torrente suddetto, di notevole valore costruttivo e di capitale importanza per il transito delle persone, dei bovini, e per il trasporto dei prodotti. Sul versante di sinistra, si trova la ridente borgata Molini e dintorni.
Tranne la Pineda le restanti borgate, e relativi terreni sottostanti ed adiacenti saranno letteralmente occupati dalle acque, compresi i ponti e le strade. Numero 170 case di abitazione complessivamente espropriate significano altrettante famiglie messe inesorabilmente sul lastrico e con incerta prospettiva di sistemazione. La sottrazione poi alla nostra economia di circa Ht. 3.000 del terreno più fertile e produttivo riservati alle acque del bacino significa l’annientamento della nostra economia agricola e zootecnica.
Nè basta: la popolosa borgata Pineda ed i casolari sparsi lungo l’opposto versante comprendenti una popolazione di circa 200 abitanti risparmiati per buona ventura dall’espropriazione, saranno in balia di se stessi, preclusa ogni possibile comunicazione regolare con il Capoluogo.
Analoghe difficoltà ed impossibilità di comunicazione son riservate alla grande maggioranza della popolazione del Capoluogo (Erto) ed a tutta la Frazione di Casso che possiede beni, fabbricati ed interessi sull’altro versante, ove è costretta recarsi a vivere gran parte dell’anno per attendere alle proprie occupazioni.
Pur riconoscendo che l’utilizzazione industriale delle acque riveste carattere di interesse nazionale, al quale deve essere subordinato l’interesse del singolo; al Sottoscritto Sindaco del Comune di Erto e Casso in rappresentanza della rispettiva Amministrazione, è commesso il gravoso compito, di tutelare gli interessi, di curare e migliorare le possibilità economiche degli amministrati, di appoggiare le loro giuste rivendicazioni.
E come tale rappresentante ho rilevato e segnalo per i necessari provvedimenti i problemi essenziali che dovranno essere affrontati e risolti nell’interesse della popolazione di questo Comune.
Pertanto chiedo:
che i danneggiati siano integralmente risarciti, che gli espropriati di ogni loro avere, siano ricompensati ed aiutati nella difficile fase del loro riassestamento economico; che vengano ricostruite le strade di comunicazione per dar modo ai proprietari di accedere regolarmente alle loro proprietà; che le Amministrazioni Comunali di Erto – Longarone, interessate, vengano interpellate prima di provvedere alla costruzione della strada che allaccia i due Capoluoghi.
In via principale chiedo, come tutti gli altri comuni interessati, che la legislazione sulle acque sia modificata secondo giustizia al fine di assicurare ai Comuni stessi tutti quegli eventuali benefici ed agevolazioni che derivano dallo sfruttamento delle loro proprietà.
1) L’assegnazione gratuita di un quantitativo di energia corrispondente al 6% della produzione ricavata con la portata minima anche se regolata.
2) L’assegnazione a prezzo di costo di un eguale quantitativo di energia (richieste che corrispondono a quanto già accordato alla Regone Trentino – Alto Adige.
3) La consegna di tali quantitativi di energia nelle officine di produzione, oppure sulla linea di trasporto ad alta tensione che attraversa la zona: ciò a scelta dei comuni interessati.
4) L’applicazione in favore dei Comuni rivieraschi di un canone particolare di L. 0,10 per KWh di energia trasportata fuori dal loro territorio, canone non suscettibile di variazione del potere di acquisto della moneta.
5) L’abolizione di ogni restrizione sul modo di consumo dell’energia fornita.
6) Il diritto di prelevare in qualsiasi momento senza prescrizione di tempo e di pagamento l’energia a prezzo di costo del quantitativo effettivamente consumato.
Fiducioso nella benevola accoglienza del presente esposto.
Ossequio.
Il Sindaco, Barzan
1 agosto 1949
- Comitato per la difesa del Comune di Erto
La lettera più importante del Comitato per la difesa del Comune di Erto risale al 19 agosto 1959.
Il testo è il seguente:
Alla Società Adriatica di Elettricità, Venezia
e, per conoscenza,
alla Prefettura di Udine
al Genio Civile di Udine
al Genio Civile di Belluno
al Ministero del Lavori Pubblici – Roma
all’Amministrazione comunale di Erto
ai parlamentari della circoscrizione.
Si sono iniziati in questi giorni i lavori finali dell’innalzamento della diga del Vajont, costruita dalla SADE.
La popolazione di Erto si accorge con allarmata preoccupazione che ancora nulla sembra sia stato deciso per assicurare facilità e rapidità di transito dal paese alle frazioni Pineda, Prada, Ceva, Seveda e Liron, dove è situato quanto di più fertile è rimasto dopo gli espropri.
Ancora poco tempo, forse meno di un anno, e poi le acque del lago interromperanno senza rimedio le attuali vie di accesso.
E’ assurdo pensare che la strada attorno al lago possa sopperire alla mancanza di sentieri, essendo essa esageratamente lunga e soprattutto pericolosa durante l’inverno a causa di frane e slavine che ne battono il tratto sotto i declivi e i precipizi di Monte Certen.
Chi manderebbe più i ragazzi a scuola nelle giornate di maltempo? Chi provvederebbe al trasporto rapido di un ammalato grave? Chi umanamente darebbe possibilità ai vecchi di frequentare il loro paese, di recarsi alla messa, di trascorrere un’ora di svago in un locale pubblico? E naturalmente si pongono in primo piano le gravissime conseguenze arrecate al lavoro e all’economia dell’intera popolazione.
Sono decine di famiglie tagliate fuori dalla vita pubblica del paese; e numerose altre che, pur vivendo sulla sponda sinistra, si vedrebbero nella pratica impossibilità, o grave difficoltà di recarsi a lavorare i loro terreni alla parte opposta del lago.
E’ pertanto indispensabile e urgente che l’azienda costruttrice del bacino assicuri fin d’ora, secondo quanto stabilito dalla legge, la costruzione di una passerella di libero transito e ne inizi al più presto i lavori, ad evitare l’allarme e la protesta della popolazione.
Fin troppo gravi sono i danni finora subiti a seguito degli espropri perché la gente di Erto possa accettarne ancora altri di irrimediabili senza reagire.
Questo Comitato, interprete della volontà degli ertani, è fiducioso di una pronta e rassicurante risposta; ma è anche deciso, in caso contrario, ad intraprendere la più tenace e risoluta azione di difesa.
La migliore risposta sarà considerata quella dell’arrivo sul posto di un incaricato della SADE, il quale prenda contatto con il Comitato e con l’Amministrazione comunale per esaminare di persona la gravità della situazione che l’immissione delle acque nell’invaso del Vajont provocherà per il paese se non fosse costruita la passerella.
Distinti saluti.
Il Comitato per la difesa del Comune di Erto.
- Consorzio Civile per la rinascita della Val Ertana
Tutti i cittadini che possedevano beni immobili, case o terreni nella zona del bacino idroelettrico potevano far parte di questo Consorzio i cui scopi, come si può leggere dal suo statuto, erano così suddivisi:
1) rappresentare i consorziati nei confronti della SADE e nella tutela dei loro interessi contro la detta Società in dipendenza delle opere che questa eseguirà, per i danni che a causa dei medesimi andranno a subire le loro proprietà immobiliari lungo le sponde del nuovo bacino, nonché per tutti quegli altri danni che potranno comunque derivare alla economia silvo-agraria-turistica della zona;
2) adottare tutti quei provvedimenti che si renderanno necessari per tutelare e difendere nel migliore dei modi i diritti e gli interessi loro nei riguardi delle opere di cui è cenno in premessa, d’intesa ed eventualmente contro la società promotrice delle opere stesse;
3) chiedere la costruzione di buone vie di comunicazione tra le due sponde con le opportune difese per eventuali franamenti o slavine e con la costruzione di ponti e di altri manufatti che consentano l’accesso a tutte le aree coltivate o comunque coltivabili;
4) chiedere la attuazione di tutte quelle opere e quei manufatti che si renderanno necessari per la protezione e la difesa delle costruzioni e dei terreni;
5) avvalersi dell’opera di tecnici, periti e legali per approntare tutti quegli studi e quelle pratiche che si renderanno necessari ed utili per tutelare il più efficacemente possibile i diritti e gli interessi comunque configurabili per i quali viene costituito il Consorzio;
6) adire le vie giudiziarie avanti a qualsiasi Organo della Giustizia ordinaria ed amministrativa ed in qualunque grado di giurisdizione, per la tutela dei diritti e degli interessi dei consorziati, ove e qualora non sia possibile addivenire ad accordi ed intese bonari;
7) affiancare l’opera dell’Amministrazione Comunale, nonchè di tutti quegli altri Enti ed Organismi che dovessero o volessero interessarsi dei vari problemi che andranno a sorgere con i lavori più sopra e più volte menzionati;
8) Nominare Commissioni e Comitati fra i consorziati chiamando a farne parte anche estranei, quali tecnici, legali o persone che per capacità. esperienza e posizione, diano affidamento di ben rappresentare e tutelare i consorziati nei loro rapporti con la SADE, sempre in relazione alla costruzione del nuovo bacino idroelettrico, come pure per lo studio e l’esame del problema in generale e di quelli particolari ad esso connessi e da essi derivanti;
9) promuovere, appoggiare e sorvegliare tutte quelle azioni che riterranno di attuare e compiere, perché i diritti delle popolazioni rivierasche sanciti da norme di legge vigenti ed emanande, trovino piena, efficace e tempestiva applicazione in ogni loro parte;
10) promuovere e stimolare iniziative rivolte al potenziamento ed allo sviluppo dell’economia locale in senso industriale, artigiano, agricolo e turistico con il ricorso alle leggi dello Stato per l’erogazione di contributi e la concessione di mutui nonchè per la migliore utilizzazione dei sovracanoni dovuti dalla concessionarie di acque pubbliche;
11) fare e compiere in breve quanto sarà ritenuto necessario od anche solo utile dai consorziati per la migliore difesa e tutela dei loro diritti e dei loro interessi nei confronti della Società Adriatica di Elettricità in relazione alle opere che questa va attuando lungo il torrente Vajont.
LA PROTESTA DEI CITTADINI
Nel periodo interessato alla costruzione della diga numerose furono le manifestazioni a carattere popolare, che coinvolsero anche alcuni parlamentari. In una di esse, avvenuta ad Erto, intervennero direttamente le famiglie interessate alla difesa dei propri beni, insieme ad alcuni parlamentari dell’opposizione. La gente, toccata sul vivo, iniziava a prendere coscienza della situazione. La SADE procedeva spesso agli espropri senza avvertire i legittimi proprietari, che si vedevano il proprio terreno invaso da tecnici e periti senza regolare autorizzazione; nessun decreto, ma nemmeno una trattativa interveniva tra le parti.
Una famiglia, fatta sloggiare con la forza dalla sua casa natale, dovette trovare ricovero presso una vicina stalla, perché si dovevano far brillare le mine per consentire il passaggio della strada. L’esasperazione era al punto di rottura: un’anziana donna del luogo disse: “Se un ladro viene a portare via la mia roba, a sparare le mine sotto la mia casa, allora io posso ben prendere il fucile e difendermi”.
Un uomo dichiarò: “Ho avuto la casa bruciata dai tedeschi e lo Stato non mi ha dato ancora niente per i danni di guerra. I miei figli hanno dovuto andare a lavorare all’estero. Ora mi toglieranno di prepotenza anche il campo. Io non sono italiano per il governo. Sono solo me stesso e da solo ora mi difenderò”.
Nel frattempo anche il parroco esortava la popolazione, durante la messa domenicale, a recarsi a firmare per la costituzione del nuovo Consorzio.
Quando, dopo un sopralluogo, i tecnici della SADE (chiamati dai locali “pezzi grossi”) se ne andavano senza dire niente venivano apostrofati con frasi del tipo: “…non vogliono rispondere alle domande. S’interessano solo del loro lago, di noi non importa loro proprio niente”. Il malumore percorse tutti quegli anni, fino agli ultimi tragici giorni che precedettero la tragedia, e la protesta, che in un primo momento dipendeva essenzialmente da motivi legati ai beni immobili, al lavoro e quindi all’economia di una vallata stravolta, pian piano si spostava sulle possibilità di rischio dell’incolumità personale. La frana del 4 novembre 1960 avvenuta proprio sul bacino del Vajont e la frana di Pontesei erano stati gli avvertimenti che avevano scosso le popolazioni rivierasche.